Perché uno studio clinico è etico

I rischi in una sperimentazione clinica
I rischi, sia di inefficacia che di tossicità, sono più elevati per i pazienti inseriti negli studi di fase I, quando si sa molto poco su tossicità ed efficacia del trattamento sperimentale, e diminuiscono progressivamente negli studi di fase II e III.
Negli studi clinici con un gruppo di controllo la randomizzazione è possibile solo se esiste un equilibrio tra i due trattamenti a confronto in termini di efficacia e di tossicità acuta e cronica. Questo è il “principio di incertezza”: sulla base di tutte le conoscenze disponibili, il medico e il paziente, avendo la possibilità di scegliere tra il trattamento sperimentale e quello standard, dovrebbero essere “incerti” su cosa scegliere perché entrambi possono essere utili.
Analogamente in uno studio clinico su un trattamento sperimentale di una malattia dove non esiste un trattamento standard, si considera “etico” il rischio di “randomizzare” un paziente nel gruppo placebo, ovvero un gruppo dove non si somministra alcun trattamento (che è quanto succede a tutti i pazienti che non fanno parte di quello studio clinico) rispetto a quello di assegnarlo a un trattamento sperimentale la cui efficacia e i rischi sono ancora ignoti.
Quando si ha a che fare con una malattia mortale, invalidante o che causa gravi sofferenze, e non esiste alcuna terapia efficace, se la terapia sperimentale non è troppo tossica o mutilante e la sua efficacia è plausibile (ad esempio in base ai suoi meccanismi d’azione), diventa molto difficile accettare che “per motivi scientifici” una parte dei pazienti sia assegnata casualmente (randomizzata) a ricevere il trattamento standard o a non ricevere nessun trattamento. Per questo motivo, anche di recente, alcuni trattamenti sono entrati nella pratica clinica sulla base di studi che non prevedevano un gruppo di controllo randomizzato.