I rischi in una sperimentazione clinica
Il rischio è una componente inevitabile di ogni attività clinica, ma nelle sperimentazioni cliniche è una problematica centrale per l’incertezza sugli effetti del trattamento che si vuole sperimentare in termini di tossicità e di efficacia.
Un trattamento sperimentale può causare tossicità acuta (vale a dire nel periodo immediatamente seguente alla sua somministrazione) spesso reversibile ma, in certi casi, associata a danni permanenti e persino a morte. Può inoltre causare effetti a lungo termine reversibili o irreversibili. Esiste inoltre il rischio che il trattamento sperimentale sia inefficace o meno efficace dello standard, laddove questo esista. In questi casi il rischio è legato alla possibilità che un trattamento potenzialmente efficace (lo standard, quando disponibile) venga iniziato dopo il fallimento della terapia sperimentale. Ad esempio, i rischi legati alla possibile inefficacia di un antidolorifico sperimentale sono minimi, mentre nella sperimentazione di un nuovo tipo di intervento chirurgico per le emorragie cerebrali, l’inefficacia potrebbe significare danni irreversibili per il paziente. Oppure è possibile che un certo trattamento possa eventualmente pregiudicare l’utilizzo di uno successivo a causa dei suoi effetti tossici.
I rischi, sia di inefficacia che di tossicità, sono più elevati per i pazienti inseriti negli studi di fase I, quando si sa molto poco su tossicità ed efficacia del trattamento sperimentale, e diminuiscono progressivamente negli studi di fase II e III.
Negli studi clinici con un gruppo di controllo la randomizzazione è possibile solo se esiste un equilibrio tra i due trattamenti a confronto in termini di efficacia e di tossicità acuta e cronica. Questo è il “principio di incertezza”: sulla base di tutte le conoscenze disponibili, il medico e il paziente, avendo la possibilità di scegliere tra il trattamento sperimentale e quello standard, dovrebbero essere “incerti” su cosa scegliere perché entrambi possono essere utili.
Analogamente in uno studio clinico su un trattamento sperimentale di una malattia dove non esiste un trattamento standard, si considera “etico” il rischio di “randomizzare” un paziente nel gruppo placebo, ovvero un gruppo dove non si somministra alcun trattamento (che è quanto succede a tutti i pazienti che non fanno parte di quello studio clinico) rispetto a quello di assegnarlo a un trattamento sperimentale la cui efficacia e i rischi sono ancora ignoti.
Quando si ha a che fare con una malattia mortale, invalidante o che causa gravi sofferenze, e non esiste alcuna terapia efficace, se la terapia sperimentale non è troppo tossica o mutilante e la sua efficacia è plausibile (ad esempio in base ai suoi meccanismi d’azione), diventa molto difficile accettare che “per motivi scientifici” una parte dei pazienti sia assegnata casualmente (randomizzata) a ricevere il trattamento standard o a non ricevere nessun trattamento. Per questo motivo, anche di recente, alcuni trattamenti sono entrati nella pratica clinica sulla base di studi che non prevedevano un gruppo di controllo randomizzato.